Vedi la pagina completa
Cecità: è solo diversità

Non vedo, è vero, ma sento, tocco, annuso e assaggio. Poi penso, sì, lo faccio anch'io; e da quel che ho percepito deduco e produco pensieri di ogni tipo. Poi cammino, sì, anch'io cammino, salgo le scale, cucino la pasta, sento la musica e faccio l'amore.

Sono cieco, ma - nessuno lo nota - sono udente, parlo e "funziono" come tanti. Solo che quando ho davanti a me qualcosa di sgradevole alla vista, beh, non mi volto, non mi stupisco. E quando vedo la tua brutta faccia non mi spavento. E non faccio caso a certe cose, non guardo con che marche ti vesti, nè che scarpe porti.
Il tuo taglio di capelli è fatto dal loro strusciare sulle mie dita. Le tue mani sono lisce e ruvide forme che stringono le mie. I film che vedo io sono storie fatte di suoni, dialoghi e rumori. Un po' come i racconti dei film che vedi tu, percepiti dai tuoi sensori di lunghezza d'onda nanometrica (la chiami "luce", vero?), particolari sensori posti ai lati del tuo naso (ce li ho anch'io, ma non mi servono molto, anche se tu dici che sono bellissimi...) con i quali ricevi onde elettromagnetiche riflesse dalle quelle forme che io tocco e sento cozzare tra loro.

E poi le tue particolari paure, quando da piccolo temevi il buio del corridoio, o quando ora svieni alla vista del sangue: povero te. Anche se le montagne che "vedi", le cascate, il mare, gli aerei, le auto, le sculture greche e le piramidi egizie. E poi le tette delle bionde ragazze che ammiri (guarda che lo dici tu stesso, certe cose non serve guardarle se non si possono toccare!). Ma anche il mare: ti basterebbe guardarlo senza poterci nuotare? senza poter mettere i tuoi piedi nella sua acqua gelata?

Sarò difettata, rispetto ai più, ma rispetto a chi gli occhi non li usa? rispetto a chi gira lo sguardo davanti alla sofferenza altrui? rispetto a chi gira il mondo intero e poi pensa ai fatti suoi? ad adulare le sue proprietà e ad invidiare il potere dei superiori?

Gli occhi servono a chi li usa. Gli altri forse nemmeno se li meriterebbero. Chi non li può usare, può farne a meno:il mondo dipende da come lo si percepisce: è diverso, e perciò è bello.

25 apr 2011
Il VELO come indumento e non come simbolo

Stavo giusto leggendo sul giornale di oggi: «Armani lancia sulle passerelle di Parigi una nuova moda, il velo: indumento ultimo grido». Peccato che i giornali che leggo io sono solo giornali immaginari, e le relative notizie pure. Sì, perché il velo proprio non vuole andare di moda in Europa, né tantomeno a Parigi, dove è stato introdotto il divieto di indossare veli integrali.
Ma usciamo dalla mera attualità per poter apprezzare veamente, uscendo temporaneamente dalla nostra condizione di tecnologici uomini e donne occidentali, quello che è il velo, pur senza dimenticarne l'origine ed il significato che esso rappresenta.
L'indumento viene utilizzato in molte culture, e soprattutto per scopi di identificazione della condizione sociale della donna. Oltretutto il velo assume spesso un impropria connotazione religiosa, specie per quanto riguarda l'Islam. Tuttavia il velo rimane pur sempre un indumento come un altro, un copricapo più o meno lungo che vela, nasconde in parte o del tutto il volto e la testa. A livello di copertura non è molto diverso dal cappuccio che usano portare i rapper, specie se d'inverno si coprono - come spesso succede - anche con una kefiah quadrettata o con una qualunque altra sciarpa che nei giorni più freddi li ricopre fino al naso. E spesso senza stare a badare troppo al significato tradizionale di quest'altro indumento, la kefiah. Quella che compiono i rapper più ortodossi è spesso una vera e propia violazione della legge italiana che prevede la riconosciubilità del volto in luoghi pubblici. Ma si chiude un occhio, fintantoché ciò non crea problemi reali di sicurezza pubblica (ovvere quasi mai) o problemi mentali di chi vuole imporre i propri preconcetti.

Il velo dunque, oltre che simbolo di oppressione, simbolo religioso e simbolo d'inferiorità e appartenenza ad un uomo (tutto ciò soprattutto se viene imposto), il velo dicevamo è un indumento talvolta molto decorato e artisticamente creativo, mentre altre volte si spinge vero colori monocromi e solitamente più cupi. I primi, i più interessanti, sfoggiano solitamente decori floreali e molto accesi, che si intersecano con orientalissime linee ondulate o zig-zagate che mantengono un'aura di mistero con i loro intrecci quasi psichedelici. Un tema ripreso con fasto imperiale e occidentale dall'art nouvea o decò o come altro la si voglia definire che prese piede a inizio '900. Più signorili invece sono i veli a sfondo monocromo con più fini decori e disegni di fiori più raffinati quali rose, o garofani. Ricordiamo che anche in occidente i veli sono comunissimi per le spose, veli ricamati graziosamente ma sempre candidamente bianchi a simboleggiare la purezza di chi li indossa. O, altrettanto monocromi, i veli neri che ora si portano, anche se solo raramente, alla più triste occorrenza dei funerali. Veli neri che una volta le vedove indossavano per mesi o anni anche per rappresentare la loro mesta condizione sociale e sessuale nella comunità. Scusate se sono stato approssimativo in alcuni punti, ma credo almeno di non aver detto cose lontane dalla realtà.



25 nov 2010